Dopo il safari nel Deserto del Thar, non sono ancora stufa di regioni aride e così decidiamo di puntare a sud ovest.
Da Jaisalmer, la città fortezza del Rajasthan, a Bhuj nel bel mezzo della regione del Kutch in Gujarat.
Il viaggio è in autobus. Partenza ore 15 arrivo imprecisato. Abbiamo prenotato due posti in sleeper class. Scopro che molti autobus in India sono notturni (forse ci sono anche da noi, ma io ne ignoravo l'esistenza). Questi montano al primo piano una fila di posti singoli sulla destra e posti tripli sulla sinistra. Sopra ai singoli sono montati, al posto dei portabagagli, delle cuccette singole, quelle doppie sormontano invece la fila di destra. Nelle cuccette c'è un piatto materasso zozzo, un pannello di plexiglas con cui puoi creare della pseudo insonorizzazione, niente tendine neanche sull'esterno.
Forse devo specificare che, se prenoti le cuccette, lí devi restare tutto il tempo e neanche immaginarsi di trovare un sedile visto che c'è gente che dorme pure sdraiata nel corridoio!
Le 16 ore che passiamo li dentro non sono male, si può leggere, dormire, chiacchiere... il vero problema è sincronizzare i tuoi bisogni fisiologici con i ritmi dell'autista. Bisogna cenare in tutta fretta alle 23.45 in una betola o a fare pipì in mezzo ad un piazzale circondata da altre donne, scettiche all'idea ma consapevoli che quella sarà l'unica chance per chissà quanto tempo ancora.
Arriviamo a Bhuj verso le 7 di mattina, sappiamo esserci solo una Guest House e lì prendiamo residenza.
30 gennaio, Bhuj
La città di Bhuj è "piccola", 500 mila abitanti è una bazzecola in India, e carina.
Visitiamo dei bellissimi palazzi e un lago all'interno della città.
Il problema del Gujarat è uno e si chiama terremoto 2001. È stato fortissimo, ha distrutto mezza regione e la ricostruzione di alcuni monumenti è ancora ferma. C'è da dire che in realtà questo disagio è cibo gustoso per la mia fame fotografica! Mentre non lo è affatto il secondo grande problema, enorme, gigantesco problema. L'unica vera, a mio dire, piaga indiana: l'immondizia e in special modo la plastica!
Non ce la fanno, non ce la possono fare, non lo capiscono. Cumuli di spazzatura ovunque. Montagne di plastica. Tutto gettato per terra, i locali hanno un bidoncino che tuttavia verrà svuotato li davanti, per strada. Il massimo che riescono a fare é, ogni tanto, accumularla e bruciarla! Come se la loro aria non fosse già sufficientemente inquinata.
I problemi sociali, pian piano si dipaneranno come, si spera, è successo e sta succedendo in molti altri posti del mondo, ma la plastica ovunque, nei laghi, fossi, bordo strada, campagne, deserto... quella sarà dura da rimuovere. La plastica resta lì, la plastica non si degrada e loro sono sempre più e loro non capiscono.
Andiam a fare due passi lungo questo laghetto meraviglioso in centro città, ci saranno 50 specie diverse di uccelli migratori che si riparano li compresi ibis dalla testa nera e pellicani. Si riparano tra le spiagge di immondizia.
Un peccato, una tragedia.
Penso l'uncia cosa che ancora non mi va giù dell'India.
Ma loro non lo capiscono.
31 gennaio, Mandvi Beach
Ho voglia di mare. Inizia a fare tropo caldo.
Voglio fare il bagno!
Partiamo determinati a raggiungere questa località balneare 40km a sud di Bhuj con il bus locale. Condividiamo il viaggio con Derek, un simpatico britannico, recidivo dei viaggi in India (15 anni consecutivi!).
Mandvi è bellissima, profuma finalmente di salsedine ed è disseminata di cantieri navali, navi enormi che ancora costruiscono a mano.
Sulla spiaggia solo noi con la pelle ancora bianchiccia. Al diavolo i cammelli, le banana boat e i baracchini del cocco: siamo di nuono noi l'attrazione principale. E vai di selfies again!
Per fortuna la spiaggia è chilometrica, gli indiani sono pigrissimi e pare abbiano timore ad entrare in acqua. Quindi basta camminare 15 minuti e ci ritroviamo soli a goderci brezza, sole, gabbiani, sabbia e immondizia.
Cercherò di fare poca o zero polemica sul fatto che sono costretta a fare il bagno con una tunica lunga al ginocchio per evitare sguardi lascivi e infarti tra la popolazione maschile, che, anche a distanza di sicurezza continua a tenerci sotto controllo.
In tutto il mondo si è preferito educare le donne a non 'provocare' gli uomini, piuttosto che ad educare gli uomini a rispettare il corpo delle donne.
Fine polemica.
L'acqua è meravigliosa. Ci sguazzo sola e felice!
1 febbraio
Le mie idee balzane non si fermano. Ho letto in un libro di una città fantasma sul confine con il Pakistan dove i pavoni scorrazzano liberi e si sentono urlare di notte. Ci voglio andare.
Serve però il permesso della polizia, quibdi trascorriamo la mattinata nel loro ufficio. L'ufficiale trascorre l'ora di attesa burocratica mostrandoci felice le foto del suo ultimo viaggio. Il tizio in questione, un signore di mezza età con la tipica pancia da fritto indiana, si è sparato in bicicletta tutta la lunga strada che sale al passo più alto dell'Himalaya (più di 5000m slm). Immaginatevi di dover guardare serissimi centinaia di foto dove la pancetta e i cosciotti del poliziotto sono fasciati in una tutina da bici più un miliardo di selfie con sfondi sempre più o meno uguali, mostrando un interesse che, con tutta la buona volontà, è svanito dopo la nunero 20 della serie.
Permesso ottenuto!
Il resto della giornata passa tra pisoli e shopping. Esco per comprare della stoffa, torno con un piercing da naso in oro vero, sufficientemente impegnativo per gli standard europei (qui sono una pivella) acquistato per una bazzecola. Adoro i bazar!
2 e 3 febbraio, Lakhpat
Ho letto un bellissimo libro sull'India. La scrittrice, una giovane italiana, parla più volte di Lakhpat, come di una città fantasma che l'ha talmente colpita da essere una costante nel suo racconto.
Mi lascio prendere dall'entusiasmo. Dobbiamo andarci!!!
Problemi: un solo autobus alle 6am, nessun albergo/ostello, notizie su ristori vari non pervenute, un solo autobus per tornare sempre alle 6 am e dulcis in fundo serve il famoso permesso della polizia (di cui ci siamo premuniti, spuntando dalla lista un problema!).
Il resto è facile: mi farò violenza alzandomi alle 5 (chi mi conosce sa..), e a quanto pare si può dormire in un tempio. E così facciamo, zainetto leggero e via. 150 km alle 6 di mattina sul solito ST bus scassato non li auguro a nessuno, ma quando hai voglia di andare non ti ferma nessuno.
Il paese è davvero semisederto e semidistrutto, dal terremoto di cui sopra. Fa impressione. C'è un silenzio pazzesco, quasi surreale per l'India. E a sottolineare la situazione assurda c'è il confine con il Pakistan appena fuori le mura con tanto di pattuglie e militari.
Scopriamo che la città una volta grande e ricca per il commercio florido, ora conta meno di 500 anime, 85 bambini e solo 20 hindu, i restanti sono mussulmani.
Nel piccolo e unico baracchino che serve solo chai e patatine in busta incontriamo Deepak, figlio del venditore di the. Per una cifra modica ci farà da entusiasta guida portandoci in vicoli sconosciuti, entrando in case pericolanti che forse era anche meglio di no.
Al tempio poi ci dormiamo sul serio. Nei templi Sick si può trovare da mangiare e dormire a fronte di una offerta libera. I tre uomini del Punjab che lo custodiscono non parlano inglese, ma sono rudemente accoglienti e simpatici!
Il rientro, organizzatoci da Deepak, prevede: 20 km in tuktuk to share alle 7.30 la mattina con altre 8 persone compreso il guidatore + 4 ore di autobus. Mi ritrovo schiacciata tra tre fierissime donne del deserto (con cui ho provato a fare a gara a "chi ha il piercing al naso più grande", ma ho clamorosamente perso), una fascina di legna e il contenitore del latte.
Adoro questi viaggi, adoro questa India un po' selvaggia, misteriosa e sorprendente!
4 febbraio, Mannaggia al deserto
Stamattina partiamo alla volta di Dhordo paese ai confini del deserto bianco salato, il Rann of Kutch. Il viaggio sarà di circa 80km solo andata, viaggio che affrontiamo spericolati e spudorati su di un tuktuk aperto. Velocità massimo 35 km/h, presenza di finestrini o ripari nulla, rumore minimo 2000 decibel. Il nostro guidatore Imran è cicciotto, simpatico e un gran bevitore di chai.
Il racconto di questa gironata potrebbe riassiumersi in: ritirata.
Infatti abbiamo gia percorso 60 infiniti chilometri quando, mentre sto compilando sotto un bel sole caldo i moduli per avere i permessi per entrare nel deserto, in 3 minuti il cielo passa da blublublu o grigio fumo, la temperatura si abbassa di comodi 15 gradi, il vento inizia a soffiare talmente forte che sposta sedie e persone. È arrivata una tempesta di sabbia.
Bagolando la freddo, con la sabbia in bocca, negli occhi e in ogni altro buco ci ripariamo in un villaggio bevendo chai e aspettando che cali un pochino il pericolo.
Passiamo il tempo giocando con dei lucidissimi e bellissimi bambini, assagiando il fritto di un signore che ce lo offre orgoglioso perché, fice lui, siete ospiti in India, e ovviamente scattando selfie.
Ad un certo punto decidiamo di sfidare comunque la sorte e tornare a casa. Ci sono da fare 25 km nel deserto senza villaggi dove ripararsi. Il vento è ancora forte e freddissimo.
Il deserto bianco lo vedremo in un altro viaggio o in un altra vita. Il punto a favore è che non ci siamo ammalati e siamo tornati sani e salvi!
5 febbraio, On the road again
Oggi si parte alla volta di Jamnagar.
Nel frattempo godetevi la Galleria fotografica del Kutch!
Da Jaisalmer, la città fortezza del Rajasthan, a Bhuj nel bel mezzo della regione del Kutch in Gujarat.
Il viaggio è in autobus. Partenza ore 15 arrivo imprecisato. Abbiamo prenotato due posti in sleeper class. Scopro che molti autobus in India sono notturni (forse ci sono anche da noi, ma io ne ignoravo l'esistenza). Questi montano al primo piano una fila di posti singoli sulla destra e posti tripli sulla sinistra. Sopra ai singoli sono montati, al posto dei portabagagli, delle cuccette singole, quelle doppie sormontano invece la fila di destra. Nelle cuccette c'è un piatto materasso zozzo, un pannello di plexiglas con cui puoi creare della pseudo insonorizzazione, niente tendine neanche sull'esterno.
Forse devo specificare che, se prenoti le cuccette, lí devi restare tutto il tempo e neanche immaginarsi di trovare un sedile visto che c'è gente che dorme pure sdraiata nel corridoio!
Le 16 ore che passiamo li dentro non sono male, si può leggere, dormire, chiacchiere... il vero problema è sincronizzare i tuoi bisogni fisiologici con i ritmi dell'autista. Bisogna cenare in tutta fretta alle 23.45 in una betola o a fare pipì in mezzo ad un piazzale circondata da altre donne, scettiche all'idea ma consapevoli che quella sarà l'unica chance per chissà quanto tempo ancora.
Arriviamo a Bhuj verso le 7 di mattina, sappiamo esserci solo una Guest House e lì prendiamo residenza.
30 gennaio, Bhuj
La città di Bhuj è "piccola", 500 mila abitanti è una bazzecola in India, e carina.
Visitiamo dei bellissimi palazzi e un lago all'interno della città.
Il problema del Gujarat è uno e si chiama terremoto 2001. È stato fortissimo, ha distrutto mezza regione e la ricostruzione di alcuni monumenti è ancora ferma. C'è da dire che in realtà questo disagio è cibo gustoso per la mia fame fotografica! Mentre non lo è affatto il secondo grande problema, enorme, gigantesco problema. L'unica vera, a mio dire, piaga indiana: l'immondizia e in special modo la plastica!
Non ce la fanno, non ce la possono fare, non lo capiscono. Cumuli di spazzatura ovunque. Montagne di plastica. Tutto gettato per terra, i locali hanno un bidoncino che tuttavia verrà svuotato li davanti, per strada. Il massimo che riescono a fare é, ogni tanto, accumularla e bruciarla! Come se la loro aria non fosse già sufficientemente inquinata.
I problemi sociali, pian piano si dipaneranno come, si spera, è successo e sta succedendo in molti altri posti del mondo, ma la plastica ovunque, nei laghi, fossi, bordo strada, campagne, deserto... quella sarà dura da rimuovere. La plastica resta lì, la plastica non si degrada e loro sono sempre più e loro non capiscono.
Andiam a fare due passi lungo questo laghetto meraviglioso in centro città, ci saranno 50 specie diverse di uccelli migratori che si riparano li compresi ibis dalla testa nera e pellicani. Si riparano tra le spiagge di immondizia.
Un peccato, una tragedia.
Penso l'uncia cosa che ancora non mi va giù dell'India.
Ma loro non lo capiscono.
31 gennaio, Mandvi Beach
Ho voglia di mare. Inizia a fare tropo caldo.
Voglio fare il bagno!
Partiamo determinati a raggiungere questa località balneare 40km a sud di Bhuj con il bus locale. Condividiamo il viaggio con Derek, un simpatico britannico, recidivo dei viaggi in India (15 anni consecutivi!).
Mandvi è bellissima, profuma finalmente di salsedine ed è disseminata di cantieri navali, navi enormi che ancora costruiscono a mano.
Sulla spiaggia solo noi con la pelle ancora bianchiccia. Al diavolo i cammelli, le banana boat e i baracchini del cocco: siamo di nuono noi l'attrazione principale. E vai di selfies again!
Per fortuna la spiaggia è chilometrica, gli indiani sono pigrissimi e pare abbiano timore ad entrare in acqua. Quindi basta camminare 15 minuti e ci ritroviamo soli a goderci brezza, sole, gabbiani, sabbia e immondizia.
Cercherò di fare poca o zero polemica sul fatto che sono costretta a fare il bagno con una tunica lunga al ginocchio per evitare sguardi lascivi e infarti tra la popolazione maschile, che, anche a distanza di sicurezza continua a tenerci sotto controllo.
In tutto il mondo si è preferito educare le donne a non 'provocare' gli uomini, piuttosto che ad educare gli uomini a rispettare il corpo delle donne.
Fine polemica.
L'acqua è meravigliosa. Ci sguazzo sola e felice!
1 febbraio
Le mie idee balzane non si fermano. Ho letto in un libro di una città fantasma sul confine con il Pakistan dove i pavoni scorrazzano liberi e si sentono urlare di notte. Ci voglio andare.
Serve però il permesso della polizia, quibdi trascorriamo la mattinata nel loro ufficio. L'ufficiale trascorre l'ora di attesa burocratica mostrandoci felice le foto del suo ultimo viaggio. Il tizio in questione, un signore di mezza età con la tipica pancia da fritto indiana, si è sparato in bicicletta tutta la lunga strada che sale al passo più alto dell'Himalaya (più di 5000m slm). Immaginatevi di dover guardare serissimi centinaia di foto dove la pancetta e i cosciotti del poliziotto sono fasciati in una tutina da bici più un miliardo di selfie con sfondi sempre più o meno uguali, mostrando un interesse che, con tutta la buona volontà, è svanito dopo la nunero 20 della serie.
Permesso ottenuto!
Il resto della giornata passa tra pisoli e shopping. Esco per comprare della stoffa, torno con un piercing da naso in oro vero, sufficientemente impegnativo per gli standard europei (qui sono una pivella) acquistato per una bazzecola. Adoro i bazar!
2 e 3 febbraio, Lakhpat
Ho letto un bellissimo libro sull'India. La scrittrice, una giovane italiana, parla più volte di Lakhpat, come di una città fantasma che l'ha talmente colpita da essere una costante nel suo racconto.
Mi lascio prendere dall'entusiasmo. Dobbiamo andarci!!!
Problemi: un solo autobus alle 6am, nessun albergo/ostello, notizie su ristori vari non pervenute, un solo autobus per tornare sempre alle 6 am e dulcis in fundo serve il famoso permesso della polizia (di cui ci siamo premuniti, spuntando dalla lista un problema!).
Il resto è facile: mi farò violenza alzandomi alle 5 (chi mi conosce sa..), e a quanto pare si può dormire in un tempio. E così facciamo, zainetto leggero e via. 150 km alle 6 di mattina sul solito ST bus scassato non li auguro a nessuno, ma quando hai voglia di andare non ti ferma nessuno.
Il paese è davvero semisederto e semidistrutto, dal terremoto di cui sopra. Fa impressione. C'è un silenzio pazzesco, quasi surreale per l'India. E a sottolineare la situazione assurda c'è il confine con il Pakistan appena fuori le mura con tanto di pattuglie e militari.
Scopriamo che la città una volta grande e ricca per il commercio florido, ora conta meno di 500 anime, 85 bambini e solo 20 hindu, i restanti sono mussulmani.
Nel piccolo e unico baracchino che serve solo chai e patatine in busta incontriamo Deepak, figlio del venditore di the. Per una cifra modica ci farà da entusiasta guida portandoci in vicoli sconosciuti, entrando in case pericolanti che forse era anche meglio di no.
Al tempio poi ci dormiamo sul serio. Nei templi Sick si può trovare da mangiare e dormire a fronte di una offerta libera. I tre uomini del Punjab che lo custodiscono non parlano inglese, ma sono rudemente accoglienti e simpatici!
Il rientro, organizzatoci da Deepak, prevede: 20 km in tuktuk to share alle 7.30 la mattina con altre 8 persone compreso il guidatore + 4 ore di autobus. Mi ritrovo schiacciata tra tre fierissime donne del deserto (con cui ho provato a fare a gara a "chi ha il piercing al naso più grande", ma ho clamorosamente perso), una fascina di legna e il contenitore del latte.
Adoro questi viaggi, adoro questa India un po' selvaggia, misteriosa e sorprendente!
4 febbraio, Mannaggia al deserto
Stamattina partiamo alla volta di Dhordo paese ai confini del deserto bianco salato, il Rann of Kutch. Il viaggio sarà di circa 80km solo andata, viaggio che affrontiamo spericolati e spudorati su di un tuktuk aperto. Velocità massimo 35 km/h, presenza di finestrini o ripari nulla, rumore minimo 2000 decibel. Il nostro guidatore Imran è cicciotto, simpatico e un gran bevitore di chai.
Il racconto di questa gironata potrebbe riassiumersi in: ritirata.
Infatti abbiamo gia percorso 60 infiniti chilometri quando, mentre sto compilando sotto un bel sole caldo i moduli per avere i permessi per entrare nel deserto, in 3 minuti il cielo passa da blublublu o grigio fumo, la temperatura si abbassa di comodi 15 gradi, il vento inizia a soffiare talmente forte che sposta sedie e persone. È arrivata una tempesta di sabbia.
Bagolando la freddo, con la sabbia in bocca, negli occhi e in ogni altro buco ci ripariamo in un villaggio bevendo chai e aspettando che cali un pochino il pericolo.
Passiamo il tempo giocando con dei lucidissimi e bellissimi bambini, assagiando il fritto di un signore che ce lo offre orgoglioso perché, fice lui, siete ospiti in India, e ovviamente scattando selfie.
Ad un certo punto decidiamo di sfidare comunque la sorte e tornare a casa. Ci sono da fare 25 km nel deserto senza villaggi dove ripararsi. Il vento è ancora forte e freddissimo.
Il deserto bianco lo vedremo in un altro viaggio o in un altra vita. Il punto a favore è che non ci siamo ammalati e siamo tornati sani e salvi!
5 febbraio, On the road again
Oggi si parte alla volta di Jamnagar.
Nel frattempo godetevi la Galleria fotografica del Kutch!
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